SATELLITI, MAPPE E NAVIGATORI. NELLA CHIESA UNA BATTAGLIA SULLA FAMIGLIA?

Ha fatto notizia l’annuncio dell’uscita del libro Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica, a firma di alcuni cardinali. I libri, naturalmente, occorre leggerli per capirne le tesi. Di certo però le anticipazioni del cardinale Caffarra hanno dato l’impressione di una netta chiusura verso le linee proposte dal cardinale Kasper sulla scia di Papa Francesco. Sul tema “famiglia” – siamo alla vigilia dell’apertura del Sinodo straordinario che ne discuterà tra il 5 e il 19 ottobre – si annuncia una battaglia interna alla Chiesa? Da laico provo a dire perché non la vedo così.

Vorrei anzitutto dire che nelle parole del cardinale Caffarra (e di altri vescovi) ritrovo una preoccupazione sensata, che potrebbe essere tradotta così: in una realtà urbana in cambiamento è piuttosto facile disorientarsi e girare a vuoto tra palazzi nuovi e continue variazioni del piano del traffico. Un navigatore diventa uno strumento utile, purché naturalmente ci sia segnale. Quel che fa funzionare il dispositivo è infatti la ricezione dell’impulso che proviene da un satellite, e che consente di determinare – pardon, georeferenziare – la nostra posizione.

Senza sapere dove siamo sulla mappa, la mappa non serve al nostro percorso. 

La funzione del segnale stabile emesso dal satellite potrebbe corrispondere a quello che in ecclesialese va sotto il nome un po’ plumbeo di “dottrina”. Il fatto che in tempi non lontani in parrocchia si “andasse a dottrina” e che riferendoci alla propaganda dei regimi totalitaristi si parli di “indottrinamento” – piaccia o non piaccia ai filologi – fa sì che la parola in questione continui a destare più angosce che simpatie, spesso impedendo di andare alla sostanza delle cose. Ignorare questi effetti collaterali mi sembra sempre poco saggio, ma tant’è.

Se però comprendiamo la funzione fondamentale di qualcosa che ci aiuti a capire dove siamo, allora possiamo anche capire la preoccupazione evidenziata da alcuni cardinali: attenzione a non spegnere o a rendere ambiguo il segnale del satellite, perché ne va della possibilità concreta di orientarsi.

Non mi pare però che né il Papa, né il cardinale Kasper abbiano preso di mira il satellite.

Hanno posto invece un altro problema, che è quello dell’aggiornamento delle mappe (sulla famiglia, ma non solo su divorzio e dintorni) e dell’ingombro dei veicoli. Perché è anche vero che quando il navigatore ha una mappa datata, ascoltarlo rischia di diventare frustrante: se alla voce che ingiunge di “proseguire diritti” si oppone un concretissimo e aggiornatissimo divieto di accesso, noi che siamo alla guida – se abbiamo un minimo di buon senso – non possiamo dire “tanto peggio per il divieto” e procedere oltre. Se non abbiamo aggiornato la mappa sappiamo bene invece quel che ci aspetta: svolteremo a caso, procederemo a vista infastiditi dalla solita voce serafica che alterna un “ricalcolo” ad un “tornate indietro quando potete”. Qualcosa di simile accade a chi le mappe le ha pure aggiornate, ma viaggia su un autoarticolato: non può infilarsi in un centro storico come con un’agile utilitaria.

Ecco, nella vita non sempre l’indicazione “proseguite diritti” è realistica, e neppure quella “tornate indietro quando potete”, specie se riporta davanti al divieto di transito che abbiamo appena scoperto. Occorre trovare un nuovo percorso, “ricalcolare”, tenendo conto della mutata urbanistica, delle dimensioni del trasporto e badando – insieme – che il segnale del satellite sia forte e chiaro.

Esco ora dalla metafora del navigatore e provo a trascriverne lo spunto in chiave antropologica.

Questa benedetta “dottrina” è la risorsa che i cristiani hanno per capire dove sono nella vita, specialmente nel momento in cui qualcosa dice che ci si è persi e che è il caso di accendere il navigatore. La dottrina – vorrei sottolineare questo – non ci fa cadere dalle nuvole: ci fa invece capire, ci aiuta a dar parole a quel senso di smarrimento che noi per primi registriamo. La dottrina non serve a chi non ha la percezione di essersi almeno un po’ perso, a chi non sta cercando «come diavolo si accende questo navigatore che non l’ho mai usato ma forse adesso può servire». La dottrina cioè dà voce alle nostre contraddizioni esistenziali, ci aiuta a decifrare il grido informe che ci portiamo dentro, ci sostiene nel prendere coscienza di quanto siamo distanti (Poco? Tanto?) da dove vorremmo noi stessi essere.

Le contraddizioni esistenziali non possiamo però trattarle come contraddizioni logiche. Questo, a mio parere, è quello che gli appassionati di satelliti e di logica deduttiva non vedono con la stessa lucidità di Papa Francesco. Non possiamo pensare che la vita sia come un compito in classe, che fatto il segno di penna rossa sugli errori si ricomincia da capo e si risolve l’equazione nel modo corretto, proprio come sta scritto sul manuale. Solo sul piano della teoria la soluzione giusta, non appena si presenta, elimina quella sbagliata.

Le nostre contraddizioni esistenziali invece durano spesso a lungo, l'ideale e la realtà – pur se in contrasto tra loro – coesistono, creando già da sé disagio e sofferenza. Ed è proprio questa convivenza contrastata che ci mette in movimento, quantomeno finché non arriva qualcuno a trasformarla in quel senso di colpa che spegne ogni slancio di ripresa. Quando siamo immersi nell’insoddisfazione e iniziamo a dar parola a queste fatiche, ciò di cui abbiamo bisogno non è allora un certificato in carta bollata del nostro “essere fuori strada”. Questo lo sappiamo già da noi, se minimamente consultiamo noi stessi. Quello di cui abbiamo bisogno è che il navigatore non stia lì a ripeterci a vuoto “ricalcolo”, senza arrivare mai a darci un itinerario effettivamente percorribile e – di fatto – abbandonandoci così al nostro girare a vuoto. Abbiamo bisogno di indicazioni praticabili, compatibili con le forze di cui disponiamo: ché altrimenti, lo diceva già Tommaso, a tracciare rotte impossibili la speranza fa presto a trasformarsi in disperazione («Le cose ardue siano tuttavia raggiungibili: infatti nessuno spera ciò che in ogni caso non potrà raggiungere. E per questi motivi la speranza differisce dalla disperazione». Summa Theologiae, I-II,  q. 40, a. 1). 

Credo che quando Papa Francesco sottolinea che «la realtà è superiore all’idea» (Evangelii Gaudium 231-233) non stia affatto dicendo che la dottrina vada riformulata secondo lo stato delle cose. Sta dicendo invece che il navigatore va aggiornato con le ultime mappe e tenendo conto delle dimensioni dei veicoli, perché lo scopo complessivo dello strumento è quello di aiutare più efficacemente ciascuno a mettersi in movimento verso la destinazione.

Al Sinodo sulla famiglia si riuscirà a discutere di itinerari percorribili o le preoccupazioni per l’abbattimento dei satelliti oscureranno il lavoro da fare sulle mappe, minimizzando l’importanza della ricognizione continua dell’effettivo assetto delle reti stradali e dell’ingombro dei trasporti che le percorrono? Lo sapremo presto. A comporre in modo equilibrato le diverse sottolineature – e a non lasciarsi stregare troppo dall’astratta linearità dell'analisi logica – non vedo però motivo perché debbano prevalere i venti di discordia.

C’è da augurarsi che rimanga viva la consapevolezza che la domanda che sale dalla vita di molti non è di smantellamento dei satelliti, ma di aiuto per ritrovarsi e ricalcolare un percorso accessibile per poter giungere a destinazione. Destinazione che, in ogni caso, non è il satellite che emette il segnale ma – per i cristiani – il “Regno di Dio”. Ma per questa altra espressione, prima o poi, ci vorrà un altro post.