Nicodemo è una figura del vangelo di Giovanni che compare a più riprese. È sulla scena fin da quando il Rabbi di Nazareth inizia a farsi conoscere (cap. 3), si ripresenta lungo il percorso verso Gerusalemme (cap. 7) e poi nuovamente quando tutto è compiuto, sul Golgota (cap. 19). Personaggio colto, curioso, intelligente, di gran reputazione: esprime idealmente il profilo di ogni adulto che cerca di accostare il Nazareno. Senza pregiudizi, senza faciloneria, senza concedere a priori un’adesione. A lui l’evangelista affida il compito di porre la domanda che sorge in ciascuno ad un certo punto della vita: «Come può nascere un uomo quando è vecchio?» (Gv 3,4). E nell’organizzare il primo ingresso in scena Giovanni ci regala una inattesa e provocatoria fotografia dell’attitudine dominante dell’età adulta.
«3,2 Costui andò da Gesù di notte, e gli disse: "Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui". 3 Gesù gli rispose: "In verità, in verità ti dico che se uno non nasce dall’alto non può vedere il regno di Dio». 4 Gli disse Nicodemo: "Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?"».
Nicodemo sorge da una dimensione notturna. Apparentemente preparato («sappiamo che…»), anche sulle cose di fede, si trova proiettato in uno scambio di battute paradossale: Gesù parla di un «nascere dall’alto» per «vedere il regno di Dio» (Gv 3,3) e Nicodemo blatera in tutta risposta cose senza senso, immaginando una rinascita di tipo fisico: «Può forse un uomo entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?» (Gv 3,4).
Ma come? Nicodemo è un maestro in Israele, un capo, un uomo colto, studioso delle Scritture, sa leggere i segni e non ha riconosciuto una metafora?
Riesce difficile immaginare che l’evangelista abbia voluto mettere gratuitamente alla berlina questo fariseo, che in fondo aveva dimostrato una qualche attenzione per Gesù, persino un primo riconoscimento come uomo venuto da Dio. Forse, piuttosto, in questa palese incomprensione potrebbe esserci proprio un indizio importante riguardo al notturno.
Nicodemo, pur con tutto il suo sapere, rimane inaspettatamente impigliato nel senso letterale delle parole che ha udito. E proprio questo legame forte e inatteso con il senso letterale lo porta all’unica conclusione logica: rinascere non è possibile, è una assurdità.
Certo, è rappresentato il limite di una comprensione solo letterale della parola, della Scrittura. Ma in questo limite troviamo evidenziato un tratto esistenziale ben più ampio, tipico dell’adulto: esiste anche un modo letterale di accostare la realtà e la vita, non solo il testo sacro.
Noi, uomini e donne della lettera
Quando l’esperienza comincia a diventare consistente, quando riteniamo di avere un’idea chiara di come vada il mondo, tutti tendiamo a chiudere il nostro orizzonte. Le nostre aspettative dominano la nostra comprensione della realtà: in un certo senso stabiliamo ormai a priori ciò che è possibile e ciò che è inverosimile, ciò che è logico e ciò che è illogico. Più il nostro profilo è quello di persone ragionevoli, magari colte, professionalmente affermate, socialmente riconosciute, più tendiamo ad essere uomini e donne della lettera, persone che si trovano a casa in un mondo di evidenze, un mondo logico, prevedibile. Perché, in fondo, quel che è prevedibile si domina con maggiore facilità; quel che è piano, lineare, semplice è più sotto controllo rispetto a ciò che esce dagli schemi, che presenta delle pieghe, che non è scontato.
L’evangelista in un certo senso ci avverte: la stessa capacità di leggere i segni può essere sterilizzata all’interno di questa cornice. Esiste persino un modo scontato di intendere le “cose di Dio”, quali che esse siano. Anche una fede dai modi colti e intelligenti, lontana da facilonerie e integralismi supponenti, può trovarsi inclusa tra le realtà addomesticate, ben sistemate nel prevedibile, tenute a bada da quella tensione ad avere tutto sotto controllo.
Forse non è un caso che Gesù attribuisca proprio il carattere dell’imprevedibilità e la capacità di uscire dalla prigionia degli schemi a quanti rinascono dall’alto: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è di chiunque è nato dalla Spirito» (Gv 3,8).
In Nicodemo troviamo proposto un “approccio letterale” alla vita, troviamo una quotidianità anche moralmente buona, ma posta al riparo dalle sorprese e in questo modo tenuta saldamente in mano. Questa quotidianità riparata e sotto controllo paga però a caro prezzo la conquista della prevedibilità: lo sanno gli adulti che avvertono – forse come Nicodemo – la mancanza di respiro di una vita fiaccata dalla ripetizione, strozzata nella creatività, cieca alla novità e soprattutto alla possibilità di rinnovarsi.
In questo sapere in anticipo come andrà il mondo, come andranno le cose, ci sono talvolta anche le tinte più fosche del disincanto: magari siamo anche tifosi del bene e della giustizia, ma scottati da esperienze deludenti siamo in lotta sottile con l’idea che si tratti di utopie. Nulla di diverso potrà comparire nella storia. In questi caratteri, potremmo dire, si condensa il lato insoddisfacente del notturno.
Questo nostro sapere lineare, che ci porta spesso a formulare previsioni senza via di scampo sulle dinamiche della vita relazionale e sociale, ci trasforma in uomini e donne della lettera, inclini a sterilizzare i germi di novità che pure potremmo coltivare.
Avvertiamo la forza che si sprigiona dalla riconciliazione, ma non ne inneschiamo il movimento: tanto sappiamo che l’altro, se gli dai la mano, ti prenderà il braccio. Con lo storico che si porta dietro come potrà fare altrimenti? Non corriamo i rischi di un percorso di riparazione, non sarebbe saggio, non sarebbe prudente, sarebbe destinato al fallimento.
Celebriamo libertà e creatività, abbiamo studiato l’inconsistenza delle teorie predittive delle dinamiche storico-sociali di Hegel e di Marx. Sappiamo che nessun teorico avrebbe potuto prevedere figure come quelle di Gandhi o di Mandela, capaci di imprimere al corso degli eventi curvature improbabili. Però poi prevale quel sapere lineare che ci fa dire come finirà questa o quella discussione culturale, questo o quell’iter legislativo. Con i precedenti che conosciamo, come potranno le cose evolversi diversamente? E così, per non rischiare contaminazioni, non partecipiamo: ci accomodiamo al riparo, a lanciare strali, a teorizzare nuovi non expedit.
Previsioni senza vie di scampo, profezie che si autoavverano e che forse, il più delle volte, sono l’eco profonda in un disincanto rispetto alla possibilità di cambiare qualcosa in noi stessi. Delusi dal nostro ricadere nelle debolezze solite e giunti a metà del cammino ci chiediamo se mai ne verremo a capo. Se non riusciamo neppure a modificare di una virgola quello che dipende solo da noi, come potremo solo immaginare che vi sia posto per dinamiche non solite, non scontate lì dove le cose dipendono anche da altri, forse da molti altri?
Impossibile allora rinascere da vecchi, come è impossibile per un uomo «entrare una seconda volta nel grembo di sua madre». Impossibile, illogico, non è così che vanno le cose. Ne abbiamo viste tante, ne sappiamo già quanto basta: non rinunceremo al comfort, alla sicurezza che ci offre il nostro sapere come va il mondo.
Questa pervasività delle previsioni senza scampo mi pare possa essere il notturno da cui Nicodemo prova ad emergere, un notturno che ci riguarda, che forse ci interpella e rispetto a cui il seguito delle sue comparse potrebbe avere ancora qualcosa da dirci…
Ho anticipato qui alcuni passaggi di una riflessione sulla figura di Nicodemo che prima o dopo troverà il suo posto anche sulla carta. Per ora trova come sponda Generazione Nicodemo. L’età di
mezzo e le stagioni della vita, Edizioni Meudon, Portogruaro 2014.
L'immagine è di Henry Ossawa Tanner (1859-1937), "Nicodemus Coming to Christ", 1927.