Immaginate una donna a capo di un vasto territorio, con notevoli ricchezze e soprattutto con la possibilità conferita dal Papa in persona di portare i segni delle prerogative vescovili – il bastone e il copricapo, la mitra – e di esercitarne analogo potere sul clero. Non è fantareligione ma la storia interessante di una particolarità tutta pugliese: quella delle “badesse mitrate”, istituto noto anche come Monstrum Apuliae, non una mostruosità ma, come vuole il latino, una singolarità davvero sorprendente. Che offre, ancora oggi, qualche motivo di riflessione su maschile&femminile…
La storia si può ricapitolare brevemente, anche se i dettagli meriterebbero di essere più noti: è la fine del X Secolo quando sul territorio di Conversano inizia l’ascesa del monastero di san Benedetto. Per molti aspetti la vicenda segue le dinamiche di molti altri luoghi: donazioni che fanno crescere i possedimenti, il privilegio papale di Abbatia Nullius conferito da Pasquale II, che segna l’autonomia dal potere del vescovo diocesano. La particolarità è dovuta però alle vicende successive all’anno 1265, quando i monaci, legati agli Svevi, abbandonano il monastero a seguito dell’arrivo degli Angioini. Di lì a poco si insedia nell’abbazia Dameta Paleologo, monaca cistercense, arrivata dal Peloponneso, a cui papa Gregorio X conferma tutte le prerogative già in capo al monastero.
Il fatto che alla guida dell’abbazia ci fosse una donna – eletta a scrutinio segreto da altre donne, con un vescovo a far semplicemente da notaio della regolarità delle procedure – non costituì, evidentemente, una pregiudiziale. La singolarità della cosa non durò neppure poco: rimase tale per diversi secoli, per essere abolita non dall’autorità ecclesiastica ma da Gioacchino Murat, nel 1810, che soppresse per decreto civile il Monstrum Apuliae.
Il potere civile più misogino di quello ecclesiastico?
L’errore di anacronismo è sempre dietro l’angolo quando si rileggono eventi del passato attraverso problemi tipici del tempo presente.
Certamente il fatto che fosse una donna ad esercitare un potere così ampio anche in ambito “spirituale” oltre che “temporale” e che la cosa non costituisse scandalo a Roma non è privo di interesse. Tuttavia anche dalle fonti documentarie – tra cui la stessa architettura di Conversano, con il campanile del monastero che supera in altezza quella quello della sede del vescovo diocesano – si coglie che in sede locale si protrasse per secoli una disputa tra poteri anzitutto di natura politico-economica. Gioacchino Murat non ragionò, all’epoca della soppressione, con categorie diverse: c’era un potentato economico da smantellare, tutto il resto era folclore.
Possiamo, oggi, attribuirci la nobiltà epocale di aver superato nelle relazioni sociali il primato della prospettiva del potere? Perché anche nelle politiche di genere contemporanee corriamo il rischio del folclore, se alla fine il baricentro della questione si riduce al più o meno ampio accesso all’esercizio del potere, ai posti di governo o a posizioni professionali redditizie.
Dove la battaglia per la parità si giocherà, sotto sotto, su questa lunghezza d’onda sarà fallimentare: una donna inebriata dal desiderio del comando, dalle emozioni e dal simbolismo del “baciamano”, non introduce nella dimensione sociale nulla di diverso rispetto ad uomo attratto dalla stessa prospettiva. Il potere cercato come autoaffermazione di sé o come via di distacco dai “comuni mortali” è sempre la stessa brutta bestia, che sia declinata al maschile o al femminile.
La grande questione è probabilmente un’altra: a quali condizioni riusciamo, donne e uomini, a concepire e vivere il potere come servizio all’altro e non come forma di asservimento dell’altro?
Dispone realmente di un potere – può cioè fare qualcosa – non chi chiede o pretende che altri lo/la servano, gli/le obbediscano o assumano acriticamente per fondata ogni cosa che dice. Dispone di un potere chi vede le fatiche altrui e si fa prossimo prima ancora che l’altro domandi: dispone di potere chi porta doni, non chi esige tributi, economici o simbolici che siano.
Quel che più si avvicina a questa dinamica è proprio la buona salute di una vita di coppia, e anche per questo è interessante che in questo tempo la Chiesa stia rimeditando sulla "dimensione famiglia": è qui che il potere del servizio reciproco può mostrarsi come forza di liberazione delle persone e come un poter-servire. È qui che si impara anche una cosa molto semplice: dalle reazioni dell’altro scopriamo quanto le nostre personali “prerogative” le stiamo realmente esercitando “a servizio” e quanto “per asservire”. Nel vivere il potere come servizio non “basta il pensiero”: è la vita reale che parla, e tutti – uomini o donne – abbiamo costantemente bisogno di rimetterci in ascolto di questo discorso di altri, per verificare a che punto siamo nel dar corso alle nostre buone intuizioni e intenzioni.
Che sia una prospettiva esigente, del resto, lo sappiamo da tempo, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di ricordare esplicitamente ai figli di Zebedeo e alla loro madre che «il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28).
Vorrei ringraziare in particolare Giandomenico Sisto e Mario Giannuzzi per avermi fatto conoscere i luoghi teatro della lunga storia delle badesse mitrate e, con loro, i molti amici della Puglia testimoni di quel che significa amare e far gustare le ricchezze della propria terra.