#NEL_PRESEPIO_2015

In molte famiglie l’allestimento del presepio è una tradizione che si rinnova ancora oggi. Nora Possenti ne ha proposto una rilettura che consiglio a tutti in questo periodo: i primi freddi preparano il clima di attesa del Natale e prima di vedercerlo sequestrare dal grande vento degli acquisti e delle cene perché non prendersi qualche istante per ritrovarne il senso? In Austria questa stagione dell’anno è ancora chiamata Adventzeit, proiettando nella dimensione civile qualcosa che viene dalla liturgia: Tempo di Avvento, tempo in cui possano ritrovare voce le attese più significative, che si rinnovano incessantemente. Per le prime comunità cristiane la più radicale era l’attesa del ritorno del Signore Gesù Cristo, una attesa che si esprimeva bene in quelle parole di invocazione del Padre Nostro: adveniat regnum tuum, venga il tuo Regno! Un regno che «non è di questo mondo» e che quindi non poteva essere concepito neppure come un’utopia, come un’ideale sociale per questo mondo.

L'attesa antica era – e in fondo è ancora oggi – quella della liberazione interiore, l’attesa di poter stare al mondo diversamente, di ritrovare anzitutto respiro e luce. Nella notte di Pasqua risuonerà tre volte, cioè maturo e compito, l’annuncio «Cristo luce del mondo», eppure già in quella di Natale il ciclo delle stagioni viene simbolicamente a proporci questo tema: è a partire dal 24 dicembre che le giornate riprendono ad allungarsi e le ore di luce progressivamente e immancabilmente riguadagnano terreno rispetto a quelle della notte. Tempo di Avvento allora, un tempo anche per riprendere contatto con i nostri luoghi notturni, personali e sociali, che non trovano luce né soluzione nei nostri attivismi e che rivelano il bisogno di un altro regno in cui poter essere accostati e affrontati.

Vorrei provare, da qui a Natale, ad affidare qualche pensiero su tutto questo al presepio. O meglio: alle statuine del presepio e in particolare ad alcune di quelle che dagli inizi del Novecento ha portato con sé il nonno – all’epoca bambino – nel pellegrinaggio di una famiglia che da Sebenico è pian piano risalita lungo la costa dalmata per poi stabilirsi a Trieste.

Sono statuine artigianali, semplici, spesso imprecise nella pitturazione, non di rado con parti mancanti perse chissà quando e chissà dove, in molti casi difficili da ripulire per il rischio di comprometterle maggiormente. Eppure, a loro modo, sono belle. Belle per la storia che implicitamente raccontano, belle per l’unicità di ciascuna – ancora tipica di un mondo in cui non dominava la produzione “in serie” – belle per l’immagine di umanità che propongono.

Mi è parso che fossero le migliori candidate a rappresentare le vite di noi tutti: spesso approssimativi per la nostra fretta, non di rado con qualche parte di noi stessi dolente e dimenticata, in molti casi immersi in situazioni che non si possono cambiare. Eppure, tutti con quell’inguaribile attesa di una qualche luce che possa raggiungerci, liberando un po’ di bellezza in più fin dal tempo presente.

Perché allora non osservarci proprio tra la notte e l’attesa delle prime luci, lì dove il presepio in fondo ci riporta e dove – con la fissità tipica delle statue – ci invita a trattenerci?

E già che ci siamo, perché, nell’attesa, non provare a segnalare anche con qualche tweet cosa di noi o del nostro vivere contemporaneo meriterebbe di essere proposto #nelPresepio2015?