Il PORTINAIO SENZA potere

Sulle prime sembrava stupore quello del ragazzino che entra come terzo personaggio #nelPresepio. Però la postura esprime anche qualcosa di più, qualcosa che neppure la presenza rassicurante della madre riesce a esorcizzare. Le mani alzate ricordano il gesto di chi, sulle prime almeno, vuole prendere le distanze. Paura? Forse scandalo? Chi è questo bambino che sembra volersi ritrarre e non voler aver a che fare con l’altro appena nato, deposto tra la paglia? Qualcuno a casa ha fatto un’ipotesi: se fosse Pietro da piccolo? Pietro anche lui a Betlemme per il censimento, Pietro che anni dopo, ormai pescatore e uomo fatto, lascerà le sue sicurezze per seguire Gesù, Pietro che diventerà la pietra della Chiesa. Pietro che tradirà. Pietro, voce di tutti quelli che fremono per cambiare le cose e avvertono lo scandalo di un Messia che entra nella storia da perdente, sovvertendo le logiche del dominio e del potere…

Il vangelo di Matteo ricorda che Pietro, dopo aver riconosciuto in Gesù il «Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16) riceve dal Maestro un mandato che, nell’immaginario popolare, lo ha trasformato nel portinaio del paradiso, severo custode del cancello e detentore del potere di sciogliere o di legare in terra: «A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19). Che regno è quello dei cieli? Cosa significa sciogliere e legare? Intuiamo che qui c’è una delle radici della ridefinizione dell’esercizio del potere nella comunità dei battezzati, in quella Chiesa che nel primo secolo inizia ad organizzarsi al suo interno e che proprio nei vangeli e attorno alla figura di Pietro produce i suoi anticorpi rispetto alle logiche del dominio sperimentato a livello civile.

Il vangelo di Marco, che peraltro la tradizione associa proprio alla figura del “primo” tra gli apostoli, è forse la testimonianza più essenziale in proposito. Qui non si ricorda affatto il mandato, ma si sottolinea costantemente la fatica di Pietro nel comprendere la diversa logica del Maestro.

I luoghi che lo ritraggono e che lo vedono intervenire in prima persona sono impietosi; dopo aver riconosciuto in Gesù il Cristo, subito rifiuta l’idea della passione, e si guadagna il celebre Vade retro, satana! (Mc 8,33), «Va’ dietro a me», come riporta la nuova traduzione: stai al tuo posto, dietro al Maestro; dove vuoi andare, che ancora sei impigliato nelle logiche del potere umano, che ti scandalizzi della piccolezza e del fallimento? Poi lo troviamo ancora sul monte della trasfigurazione, dove «non sapeva che cosa dire» per lo spavento (Mc 9,6), e se ne esce con la proposta di fare tre capanne, sempre per non andare incontro alla passione più volte annunciata da Gesù. Ad un certo punto sembra aver digerito la prospettiva e fa la sua dichiarazione: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!» (Mc 14,29), ricevendo in cambio la misura esatta della sua comprensione: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai» (Mc 14,30). E infine eccolo nel cortile del palazzo del sommo sacerdote, proprio lì dove si manifesta simbolicamente il potere che giudica e condanna, mentre si scioglie di paura venendo riconosciuto da una serva: a quel punto «cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quest’uomo di cui parlate”» (Mc 14,71).

L’ultima cosa che Marco riferisce di Pietro è il suo pianto.

Occorre riconoscere che se questo vangelo è in qualche modo la “biografia autorizzata” del primo tra gli apostoli, la dose di autocritica è davvero impressionante. Il capo di una comunità, punto di riferimento per tutte le comunità cristiane, ricordato nei secoli per i suoi fraintendimenti, per il suo disorientamento. Ricordato per la sua paura.

Questi sono gli anticorpi della Chiesa che si organizza come comunità.

Chi è alla guida è un poveraccio come tutti: il capo non è superiore, non ha nulla di divino, sta dietro all’unico Maestro come tutti. Non è il principe, e la comunità non è il suo regno in cui fare il bello e il cattivo tempo. Non è il sommo sacerdote, e la comunità non è il suo cortile, in cui esercita il potere di vita o di morte sul popolo dei credenti. L’avere in consegna le chiavi del Regno non lo nobilita né gli conferisce alcun dono di scienza o di immunità dal fraintendimento o dalla piccineria: pur con quelle chiavi già in tasca, sul monte non capirà il senso del rimanere con il Maestro. Tradirà con quelle chiavi ancora in tasca (che peraltro Gesù non risulta gli abbia mai chiesto di restituire) .

In cosa consiste allora la forza di Pietro, la forza di un “capo” passato sotto il maglio di una biografia severissima, per nulla accondiscendente?

Il vangelo di Marco lascia a noi il compito di trovare la risposta.

In un certo senso potremmo dire che la risposta è proprio nell’esistenza della comunità che ancora ripropone quel racconto sorprendente di grande fallimento. La risposta è nel perdurare di una comunità figlia di un grande timore (così si conclude il vangelo di Marco), che stranamente non si disperde, e non certo per virtù del Pietro che – ieri come oggi, a Gerusalemme, a Roma come in qualsiasi altro luogo – la guida e la raccoglie.

La forza di Pietro – forse così si potrebbe abbozzare – sta nell’essere privo di forze e nel constatare che proprio dalla dismissione delle logiche principesche del potere politico e dei suoi miti – superiorità, invulnerabilità, comprensione superiore delle cose, efficacia, efficienza, successo… – nasce un nuovo modo di raccogliersi tra le persone. Pietro è il primo ad attestare che proprio lì dove si sgretolano le dinamiche del dominio dell’uno sui molti sorge il Regno; dove si sgretola l’illusione di salvare il mondo mettendosi al comando, lì inizia a compiersi l’attesa del Messia, lì si comincia a sperimentare che chi raccoglie intimamente a sé liberando da paure e schiavitù è soltanto il «Figlio del Dio vivente».

C’è di che scandalizzarsi, e Pietro, fin dai giorni di Betlemme, con quel suo improbabile vestitino a pois, l’aveva presagito. C’è da rivedere costantemente l’idea di un Regno di Dio concepito al modo dei Principati mondani. C’è da rivedere costantemente l’idea di un presbiterato cristiano concepito al modo di una casta di governanti, che si sporge sui sudditi concedendo benevola i propri favori. C’è da rivedere costantemente l’idea che la Chiesa si regga in virtù della propria struttura organizzativa. Oggi papa Francesco invita risolutamente a reagire a queste derive, perché affiori lo scandalo di un Messia disarmato e di una comunità priva di mezzi eppure lieta e salda nella fedeltà. In fondo fa appello agli anticorpi elaborati proprio dalla Chiesa guidata da Pietro, di cui è successore.

Anche per questo, per quanto bambino, proprio il primo tra gli apostoli non poteva mancare #nelPresepio2015.