TRIESTE VERSO LE URNE. DELLE PRIMARIE, INTANTO

Pur vivendo nel mondo etereo e difficilmente localizzabile della filosofia, sto seguendo con curiosità l’avvicinarsi delle primarie del Partito Democratico a Trieste, in vista del prossimo rinnovo dell’amministrazione comunale. Quella che potrebbe sembrare una piccola liturgia di partito o di coalizione – ovunque venga avviata – è in realtà molto spesso una interessante finestra per capire cosa succede all’interno dei diversi schieramenti. E credo sia una cosa tutto sommato utile per i cittadini, soprattutto in tempi di voto maggioritario, in cui alla fine non si va tanto per il sottile e le differenze (interne alle parti contendenti) rischiano di essere cancellate.

La cosa che in queste settimane mi è parsa interessante come segnale è la dinamica del tutti contro uno che si è attivata.

Sono un tipo un po’ ottocentesco, come Alexandre Dumas, con qualche sensibilità per l’uno per tutti e tutti per uno, quindi apprezzo le ragioni dell'unità. Però le primarie sono forse l'unico momento in cui è possibile mostrare – senza troppi timori – la pluralità delle anime di un partito o di una coalizione, e la varietà delle soluzioni che si è in grado di offrire ai cittadini, anche in termini di leadership. La polarizzazione così sbilanciata dei supporters vip (tra assessori, giornalisti famosi, dirigenti locali e nazionali…), quasi tutti a sostegno del sindaco uscente, non mi ha entusiasmato. A dirla tutta, mi sta dando molto l'impressione di un "caspita, qua si rischia (metteteci voi cosa), fuoco di sbarramento a volontà".

Il rischio che Francesco Russo ce la faccia a sparigliare un copione di partito o di coalizione dato forse troppo presto per scontato deve essere reale. Altrimenti non mi spiegherei tutta questa mobilitazione e il tentativo di racimolare spunti di ogni tipo, pur di cannoneggiare sullo sfidante.

Tra gli argomenti contra più divertenti e rappresentativi di questa reazione ho trovato quelli di Paolo Rumiz, affidati ad una analisi, per altri versi bilanciata, su Il PiccoloRusso ha il problema che il Senato chiude e poi non sa cosa fare. Beh, farà il suo mestiere, il professore universitario. Che, come avrebbe detto mio figlio nel suo italianese di quando aveva pochi anni, è impiego per nulla “dispiacente” (per quanto non sia “petaloso”, ma mi informerò meglio chiedendo alla Crusca). Il secondo argomento però ha il sapore di quelli decisivi per scoraggiare gli incauti favorevoli a Russo: da quando è senatore non risulta abbia mai chiamato al telefono Rumiz. Ma come si può solo pensare di candidarsi a sindaco senza aver sentito Rumiz? Per dire che, magari complice la fretta, alle volte non si sa proprio cosa scrivere e si buttano là argomenti tanto per far rumore.

Cose divertenti a parte – ma ci vogliono anche quelle – il rischio (paventato o reale che sia, solo i numeri lo diranno) che uno sfidante ce la faccia a cambiare un copione già scritto attiva dinamiche interessanti.

Questo rischio, per la mia città, devo dire che mi piace. Perché in fondo rappresenta la possibilità reale di migliorare il servizio della attuale amministrazione, che – come ogni amministrazione – ha le sue luci e le sue ombre, che si riproporrebbero tali e quali, nel bene appunto e nel male, in caso di (successiva) riaffermazione alle urne. È il limite fisiologico della filosofia "squadra vincente non si cambia". Invece qualche cambio è salutare, e il fatto che eventualmente passi attraverso l’indicazione dei cittadini, anziché attraverso le sole trattative dentro una coalizione, è cosa molto positiva.

Apprendere poi che sull’altro versante dobbiamo all’ennesimo placet di Berlusconi la decisione per Dipiazza (ri)candidato, mi fa sentire Trieste come una dependance di Arcore. Potendo, preferirei proprio si riuscisse ad evitarlo.

Mi piace poi l’idea che il sindaco sia una persona che conosco culturalmente, che appartiene a un mondo di cui comprendo le logiche, le generosità e le paure, le ingenuità e il coraggio, ma che soprattutto insegna quella libertà di spirito che viene dal sapere, al fondo di se stessi, che passa la scena di questo mondo. Mi piace non per una attesa di egemonia, ma per il semplice fatto di poter – un domani – richiamare un sindaco a quelle tante cose a cui tengo, a cui tengono le tante persone che incontro, e che chiamo "bene comune", sapendo che capirà. E che non potrà fare finta di non capire, dicendo che non se ne intende dei linguaggi astrusi (o dialettali, come direbbe Habermas) dei cattolici. Sapendo che quando dovrà spiegare il perché e il percome di qualche scelta potrà anche aiutarmi, meglio di altri, a capire da dentro le anime di questa città, specialmente le anime diverse dalla mia, anime che – da sindaco – dovrà essere capace di far incontrare. Perché nessuna città fa progressi procedendo per lacerazioni, ma solo sapendo riconciliare e far riconciliare.

Con Francesco Russo il rischio che qualcosa di tutto questo accada probabilmente è reale e la cosa mi pare interessante.

Poi ci sono le idee di sviluppo della città, i sogni per i giovani che se ne vanno e la solitudine di troppi anziani che restano, i progetti sul Porto Vecchio, una Ferriera vecchia di 100 anni, le buche del Viale da sistemare, i gocciolatoi in galleria di piazza Foraggi, le aiuole a Miramare, i parcheggi che mancano, il traffico, le bici ad arrancare su per via Rossetti e anche il buco nell’ozono, già che ci siamo. Ma prendiamo una cosa alla volta, che cinque anni sono un discreto tempo, eh.

Intanto facciamo passare questi cinque giorni e vediamo cosa dicono le primarie.

Poi si vedrà.