ABITARE IN SILENZIO, ABITARE IL SILENZIO

«Uomo che ami parlare molto: ascolta e diventerai simile al saggio. L’inizio della saggezza è il silenzio». Questo ammonimento è attribuito a Pitagora, vissuto nel VI Sec. a.C., e – in fondo – potrebbe consolarci: da sempre siamo più propensi a parlare che non ad ascoltare. Produciamo contenuti, si direbbe oggi, ma poi siamo in grado di fermarci per raccogliere, cogliereaccogliere quel che ci visita? Ascolto e accoglienza sono due ingredienti chiave nell’esperienza di Rondine e hanno come premessa proprio la capacità di rimanere in silenzio. Per questo, a chiusura di ciascuna giornata del YouTopic Fest (9-11 giugno) gli organizzatori hanno pensato di far tacere tutto per mezz’ora nel piccolo borgo sull’Arno. Un segno intelligente, per dire che la città – grande o piccola che sia – ha bisogno anche del silenzio, per poter essere abitata più umanamente, perché ci sia più ascolto, perché gli incontri siano meno distratti, perché i conflitti possano essere affrontati. Ci saranno molti modi per vivere quell’occasione di raccoglimento. Qualcuno lo farà anche in solitudine, e per queste persone è pensato il piccolo strumento di accompagnamento che propongo qui. Che, volendo, si può utilizzare anche altrove, nello spazio e nel tempo.

Rimanere da soli per un po’ di tempo rappresenta sempre un’opportunità per ritrovarsi o per ritrovare qualcosa. Se questo tempo è “programmato” è probabile che aumenti l’attesa che sia fruttuoso, ma non è detto che così accada. I momenti di silenzio sono in effetti qualcosa di imprevedibile: può darsi che la nostra attenzione non riesca a posarsi su nulla di particolare, oppure che un pensiero, persino una singola parola, si imponga come un ritornello o come un chiodo fisso. Tutte queste esperienze – e le moltissime che si collocano tra questi due estremi – fanno parte del silenzio. E sono esperienze caratterizzate anche da una certa sollecitazione del sentire: ci sono parole e pensieri che sollevano o che appesantiscono, che rattristano e letteralmente “fanno male”, oppure che rallegrano e “fanno bene”. Abitare il silenzio, che in fondo è semplicemente abitare casa propria – perché l’uomo è anche interiorità come insegnavano gli antichi –, richiede un minimo di dimestichezza nel riconoscere quel che attraversa questo ambiente così umano e – per alcune tradizioni – così divino. Questo significa che ci si può anche esercitare, e che ogni tempo di (buona) solitudine può diventare l’occasione per guadagnare un po’ di profondità in più.

Avendo circa un’ora a disposizione si possono scegliere diverse vie per ritirarsi. Due passi nel verde aiuteranno a distendersi e forse a “non pensare” (alle volte ne abbiamo bisogno); un luogo raccolto, in cui sostare, costringerà invece benevolmente a misurarsi con qualche tipo di pensiero. Scegliendo questa seconda possibilità può essere utile provare ad accompagnare il colloquio interiore, lasciando che qualcosa di specifico ci interpelli e che risuoni, articolandosi in un discorso. L’esercizio che propongo va in questa direzione.

Nella scheda di lavoro riporto una piccola storiella yddish, davvero ricca di spunti, specialmente in ogni singola parola della battuta finale, tutta da decifrare. Suggerisco di leggerla e di rimeditarla con queste due attenzioni: la prima consiste nel chiedersi o vedere se dalla lettura e meditazione del breve dialogo emerga qualche pensiero che propone di fare qualcosa. Perché il tutto abbia la caratteristica di un esercizio è utile prendere qualche appunto scritto su quel che viene in mente. La seconda attenzione consiste nell’osservare se ci siano pensieri o anche elementi ambientali che distraggono dal compito precedente, anche in questo caso annotandoli.

Dopo l’11 giugno metterò a disposizione una semplice griglia di analisi per rileggere quel che ha occupato la mezz’ora di silenzio a Rondine (o il tempo che qualcun altro si sarà regalato altrove). Si potrà scaricare e utilizzare per rileggere gli appunti sfruttando il QR code della scheda.

 

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Esercizio "Abitare il silenzio"
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