I days-after delle elezioni presidenziali americane è fisiologicamente il momento delle analisi globali: come cambierà il mondo? Come cambierà la vita di ciascuno di noi, posto che realmente tutto è connesso? Hanno ragione i barometri che annunciano profonda depressione o quelli che salutano giornate radiose? Per allungare lo sguardo verso il futuro quel che ci serve è una “filosofia della storia”, che non è la pretesa di cogliere gli sviluppi generali del domani – in molti ci hanno provato, Hegel, Comte, Marx… – ma piuttosto una chiave di lettura morale, utile proprio per non smarrirsi tra gli eventi e le opposte previsioni. La pensava così Jacques Maritain, che invitava a fare propria la parabola evangelica del grano e della zizzania e a imparare anzitutto a riconoscere che in ogni tempo è in atto un progresso simultaneo del bene e del male. La coscienza cristiana non è né ottimista né catastrofista: impara a conoscere e a riconoscere (ovunque) le manifestazioni del buono, così come quelle del cattivo, sapendole entrambe presenti, sapendo anche che districarle tra loro, il più delle volte, non è possibile.
Ci sono allora due lezioni elementari utili da ritrovare per inoltrarsi nelle analisi.
La prima ci dice che lì dove vediamo solo il negativo occorre mettersi in cerca dei punti di luce e, d’altra parte, che lì dove si tende a proclamare le magnifiche sorti e progressive è cruciale chiedersi quali siano le forme del male che non stiamo vedendo, che generano esclusione e mortificazione, magari lontano dagli occhi e dunque, proverbialmente, lontano dal cuore. La grande tradizione del pensiero sociale cristiano offre strumenti per questo sguardo inquieto e critico verso le letture troppo unilaterali.
La seconda lezione è forse quella oggi ancora più interessante: cosa significa riconoscere che l’intreccio tra il bene e il male è storicamente irrisolvibile? Significa ripartire dalla consapevolezza che ogni forma di polarizzazione morale radicale – gli amici e i nemici, (noi) buoni e (loro) cattivi, i democratici e i tirannici – è già una rappresentazione falsata della realtà in cui viviamo, oltre che dell’umano. Da questa visione falsata nascono tutte le dinamiche di esclusione e di violenza, nutrite dall’illusione – accarezzata da tutte le parti “radicalizzate” – che senza l’altro (senza il nemico, senza il malvagio, senza il tiranno, senza di “loro”…) la vita potrà essere migliore, la pace potrà finalmente sbocciare, il benessere potrà diffondersi, un Paese potrà finalmente tornare ad essere “grande”. La campagna elettorale americana, da entrambe le parti, è sembrata assecondare e alimentare questa visione della storia e della realtà, che potremmo definire neo-manichea, una visione per cui l’ottimo e il catastrofico sono nettamente distinguibili e, politicamente, coincidono con l’affermarsi degli uni o degli altri.
Nei prossimi giorni è legittimo aspettarsi una distensione dei toni, ma il punto è che il veleno della polarizzazione delegittimante ha bisogno di cure più profonde e durature per essere contrastato nei suoi effetti: reciproco riconoscimento, leale collaborazione, apertura alle critiche, capacità di mediazione e di inclusione… Tutte queste attitudini nascono però da presupposti del tutto diversi da quelli che ripetutamente, in diverse parti del mondo, vediamo manifestarsi nei confronti politici: nascono dal riconoscere che anche l’altro è portatore di valori e di intuizioni di bene, dal riconoscere che nelle proprie stesse migliori intenzioni possono esserci aspetti opachi, dal riconoscere che bene e male rimangono intrecciati nella storia e che quel che possiamo fare è creare alleanze tra il meglio che già c’è in ciascuno, per riconoscere e contrastare insieme il male che cerca varchi nell’intimo di tutti.
Se vogliamo allora sapere come cambierà il mondo dobbiamo provare anzitutto a chiederci quanto il neo-manicheismo si stia diffondendo culturalmente, quanto ce ne stiamo accorgendo, quanto stia conquistando il nostro modo di pensare e di leggere la storia, di concepire il confronto politico, di immaginare la pace, la giustizia, lo sviluppo. L’immagine evangelica del grano e della zizzania, talvolta indistinguibili, comunque da non voler separare prima della fine della storia, rimane una bussola da consultare con attenzione.
Articolo gentilmente pubblicato da Avvenire (Idee&Lettere, 9 novembre 2024, p. 16)